Smontata l’accusa per falso in atto pubblico : l’imputato assolto con formula piena

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Pisa: D.C. veniva tratto a giudizio con l’accusa di aver falsificato un testamento in cui lo stesso era stato menzionato quale beneficiario di un lascito di un appartamento in Firenze da parte della de cuius. 

D.C. aveva tenuto per anni la contabilità prima del marito della signora e poi della stessa del tutto gratuitamente in quanto amico di famiglia. 

La signora, molto benestante, aveva pertanto deciso di nominarlo nel testamento lasciandogli un appartamento e nominandolo esecutore testamentario, devolvendo, tra l’altro, ben 800.000 agli istituti ecclesiastici.

L’accusa: Il PM sosteneva che il testamento era stato falsificato dall’esecutore testamentario al fine di ottenere il vantaggio consistito, appunto, nella proprietà dell’appartamento in Firenze. Lo stesso consulente del PM aveva sostenuto, poi, che la firma della de cuius sul testamento non era originale anche se non poteva condurre la paternità della calligrafia a D.C.

La difesa: l’Avv. Bartolini ha sempre sostenuto l’innocenza del proprio assistito sia basandosi sul fatto che la firma della signora sul testamento e la sua autenticità non era stata valutata in ragione dell’età della stessa in quanto erano state prese in comparazione scritture di molti anni prima sia a che in quanto la logica dell’accusa non reggeva visto che se il testamento non fosse stato originale non si giustificavano gli 800.000 euro dati in donazione agli istituti ecclesiastici, somma sicuramente più appetibile tra i beni del lascito.

Nel corso del dibattimento, durante l’esame del consulente tecnico del PM, la difesa riusciva a far emergere un dato importante e cioè che il PM, al momento in cui aveva conferito l’incarico al proprio perito lo aveva condizionato chiedendogli non di accertare la verità ma solo che la firma sul testamento none era originale.

Il Giudice disponeva, pertanto, una consulenza tecnica in corso di giudizio volta ad accertare, appunto, se la firma sul testamento fosse vera o meno ed in sede di perizia la difesa di D.C. sottolineava appunto il vizio delle scritture prese in comparazione troppo datate rispetto alla  firma sul testamento.

Al termine del giudizio l’imputato veniva assolto con formula piena perché il fatto non sussiste.

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