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Il danno alla persona, una cabala dei tempi moderni.

Il danno alla persona Il danno patrimoniale da incapacità da guadagno L’art. 137 codice delle assicurazioni riguarda il danno patrimoniale ma fa confusione sui termini. Analizziamo quindi per prima i termini che potremmo incontrare in tema di danno Invalidità: veste medico legale del concetto giuridico del danno biologico Inabilità/ Incapacità : mancata attitudine dell’individuo a svolgere attività lavorativa. La inabilità riguarda la temporanea incapacità di lavoro mentre per incapacità si intende la permanente incapacità di lavoro. La prima sentenza in cui si parla di danno biologico è del Tribunale di Genova del 1974. Prima il riferimento principale per la liquidazione era la incapacità lavorativa. Come si accerta il danno da incapacità di lavoro e guadagno. La giurisprudenza è divisa in due tesi: la tesi del danno in abstracto e la testi del danno in concreto. Secondo il danno in abstracto il danno è uguale a : DL = ( ILS% x R) x & Il danno in abstracto si basa sulla incapacità lavorativa specifica e si basa sul fatto che tale incapacità si possa quantificare in percentuale. Questo criterio è però errato sia dal punto di vista giuridico che medico legale. La medicina legale esclude categoricamente che il danno da incapacità lavorativa possa essere quantificata in punti percentuale. Per la capacità di lavoro non abbiamo tabelle per stimare la invalidità e non potremmo mai averle perchè i lavori sono diversi: ad esempio la perdita di una mano avrà conseguenze diverse per un pittore rispetto ad un commercialista. Tutti i medici legali conocordano nel ritenere che è impossibile valutare a percentuale il danno da incapacità lavorativa. Ma anche due persone che svolgono lo stesso lavoro possono avere ripercussioni diverse a seconda del soggetto. Questo criterio essendo fondato sul nulla non da la possibilità di contrastarlo e contrabatterlo. Inoltre adottando questo tipo di danno si presume che ad una percentuale di invalidità corrisponda una perdita patrimoniale di tale gravità. Si suppone che ad una lesione lieve corrisponda una lesione lieve ma non sempre è così. Ad esempio un webmaster che perde un piede ha un danno biologico grave ma non avrà conseguenze sul lavoro. Ma ci possono essere lesioni lievi con gravi conseguenze lavorative. Ad esempio un pilota riporta un trauma cranico che gli comporta la diminuzione di 1/10 della vista. Quando va a rinnovare il brevetto non gli viene rinnovato perchè è necessaria una vista 10/10 e quindi ad una lesione lieve è corrisposta persino la perdita di lavoro. Il danno è in abstracto perchè ovviamente il giudice non accerta in concreto se il danneggiato ha guadagnato meno e in che % ma si basa solo sulla valutazione %. Questo criterio è il più diffuso ma anche il più sbagliato. All’opposto vi è il criterio del danno in concreto. D = ( Ra – Rp) x & Questo criterio pretende di accertare caso per caso se vi è stata e quale sia stata la perdita delle vittima. Ra = Reddito ante sinistro. Questo reddito deve essere un reddito da lavoro ( prima carattersitca) e non da capitale che non si perde con il danno alla salute. Tra le rendite di capitale rientrano anche le partecipazioni societarie. Se Tizio socio di una impresa individuale subisce un danno può essergli sollevata la questione inerente il fatto che questi è socio e qundi il suo reddito deriva dalle quote. La Cassazione ha ritenuto che tale eccezione non gli si possa opporre a dimostrazione che provi che l’apporto di lavoro è maggiore della quota. Il danno subito può essere anche proprio della società come soggetto di diritto proprio. Facciamo l’esempio di Tizio che ha il 2% delle quote societarie mentre la moglie Caia ha il 98% delle quote. Tizio però è il Key Man e cioè l’uomo chiave della società , quello che la manda avanti mentre la moglie non sa nemmeno come portare avanti la società. A seguito della lesione di Tizio questi non può più lavorare e la società deve necessariamente chiudere. In questo caso la società in proprio subisce un danno. L’art. 2056 c.c. fa riferimento all’art. 1226 che introduce il concetto di equità. Il danno da mancato guadagno futuro invece, cita l’articolo, va liquidato secondo l’equo apprezzamento delle circostanze del caso. Questo ultimo concetto è diverso dal concetto di equità perchè è una equità che si può definire allargata. Occorre rifare la storia dei redditi di un set di anni allargati e non si può certamente andare a guardare solo l’ultimo anno che ad esempio potrebbe risultare senza reddito o con reddito basso.Se ciò facesse il Giudice emetterebbe una sentenza viziata per errata applicazione della legge e cioè errata applicazione dell’art. 2056 c.c. Il reddito da calcolare deve contenere tutti gli emolumenti che ne facevano parte. La lesione può anche riguardare una aspettativa di fatto che sia presumibile: pensiamo al cameriere che sostiene di percepire 800 euro di stipendio ma 2000 euro di mance. La seconda caratteristica quindi che deve avere la rendita da porre a base del calcolo è che deve essere omnicomprensivo. Produrre un reddito comporta dei costi e quindi anche questi vanno tenuti di conto nella valutazione. Questo anche per il principio di integralità del risarcimento secondo cui la vittima non deve essere risarcita in maniera minore del dovuto ma nemmeno in maniera superiore. Altra voce da tenere presente, oltre i costi, sono le imposte. Dal reddito dovranno essere tolte, quindi anche le imposte in quanto se Tizio ha uno stipendio di 100 e di questi 30 sono di imposte, se io risarcisco Tizio per 100 questi subirebbe un arricchimento. Il trattamento fiscale dei risarcimenti è disciplinato dal TU sulle imposte dei redditi ove si fa presente che il reddito da risarcimento è esentato dalle imposte. Il calcolo dovrà essere fatto con il reddito al netto delle imposte. Inoltre vi potranno essere anche le detrazioni fiscali che lo Stato può concedere ad alcuni soggetti . Anche le detrazioni fiscali vanno considerati nel calcolo. L’art 137 del codice di assicurazioni, solo per i sinistri stradali, non tiene conto delle imposte e cioè non effettua la detrazione e quindi la vittima si troverrebbe arricchita. Dapprima vi era il D.L 857/76 art 4 ove compariva una norma relativa al risarcimento del danno uguale a qualle dell’attuale norma del codice delle assicurazioni ove si stabiliva che il risarcimento si attua al lordo delle imposte. Successivamente nella l. 39/77 che sostituì il precedente D.L. si stabiliva , invece, che il risarcimento va calcolato al netto delle imposte. Tutto è poi defluito nel D.Lgs 209/05 art 137 ( codice delle assicurazioni) dove si ritorna al concetto di lordo dalle imposte: che sia stato un errore ? La norma è anche incostituzionale in quanto se io provoco un danno a Tizio fuori da una responsabilità RCA pagherò meno rispetto a quest’ultimo caso e quindi si avrà due risarcimenti diversi per il medesimo caso. Per un soggetto che ha un reddito almeno sopra alla soglia di povertà questo non è un problema da poco perchè sconta imposte del 36% 38% o 42%. Su una lesione grave, ad esempio da 1 milione di euro, calcolare o meno le imposte vuol dire fare riferimento a 400.000 euro. Terzo presupposto è il fatto che il reddito da tenere in considerazione per il calcolo va parametrato negli anni e quindi va tenuto conto di un aumento equitativo che è inversamente proporzionale all’età della vittima. Non è iniquo ritenere che ogni 20 anni di lavoro il reddito raddoppi. Quindi se Tizio ha ancora 20 anni da lavorare si calcoleranno, nella formula sopra indicata, 2 Ra. Rp = Reddito post sinistro Il reddito post sinistro può variare in considerazione del caso concreto. E quindi si va a considerare anche un diverso lavoro che la vittima potrà fare a seguito del danno al posto di quello che svolgeva in precedenza. La vittima non può sostenere che il lavoro che svolgeva era l’unico che voleva fare perchè è diritto e obbligo del cittadino trovarsi un lavoro per contribuire alla collettività. Se Tizio non trova altro lavoro sarà da considerarsi negligente e non potrà accmpare la perdita totale del suo precednete lavoro. Il coefficiente di capitalizzazione. Un risarcimento può essere pagato in una soluzione o ratelamente con una rendita ( art. 2057 c.c.). Quest’ultima ipotesi di pagamento è quasi desueta. Nei macro danni il risarcimento in forma di rendita, soprattutto da parte del convenuto, dovrebbe essere richiesto in quanto più equo ( ad esempio nel caso di vedova che dopo tre anni si risposa in questo caso è giusto averle liquidato un danno in un’unica soluzione?). Il danno quindi va capitalizzato. Esistono due tipi di rendite : rendita vitalizia e rendita temporanea. Nella liquidazione del danno a volte è necessario capitalizzare la rendita vitalizia a volta la rendita temporanea. Ad es. un fanciullo di 15 anni perde il padre. In questo caso non è ipotizzabile sostenere che il padre avrebbe mantenuto il figlio per tutta la vita ma solo in via temporanea. Come si compie l’operazione di capitalizzazione? Si prende il rateo , cioè la rata annua della rendita , e si moltiplica per il coefficiente di capitalizzazione. Tali coefficienti variano in funzione della durata della rendita e prescindono del tutto dalla durata media della vita. Non è così per i coefficienti delle rendite vitalizie. La rendita vitalizia è infatti aleatoria perchè non si sa quanto dura la vita del soggetto; per la rendita temporanea non si può parlare di aleatorietà. Un uomo ha oggi una speranza di vita media di 78 anni, mentre la donna di 81. RD 1403/22 è spesso il parametro di riferimento per la capitalizzazione , la legge però è abrogata. L’applicazione di questi coefficienti si rivela oggi iniqua perchè si riferisce ad epoca in cui l’età di mortalità era più bassa rispetto ad oggi. Una strategia processuale che ignori per tutto il problema della capitalizzazione sarebbe mal impostata. I coefficienti più aggiornati sono quelli DM 01 aprile 2008 e cioè quelli adottati dall’Inail. Posso impugnare la sentenza che ha fatto riferimento i coefficienti del 1922 anche se sono stato silente nel giudizio? La risposta è positiva in quanto l’applicazione del coefficiente è una regola di diritto che il giudice deve applicare e quindi vi sarebbe una erronea individuazione della regola iuris. La Cassazione investita del problema una prima volta respinse il ricorso in quanto la Corte richiedeva l’allegazione di quale sarebbe stato il risultato se il calcolo fosse stato fatto con altro coefficiente. In un’altra decisione del 1998 la Cassazione statuì che i coefficienti del 1922 erano inadeguati ma poichè valutazione di merito la Corte ritenne non di propria competenza. Nella terza ed ultima decisione gli Ermellini , nel 2009, accolsero il ricorso con ordinanza pronunciata in camera di consiglio con il nuovo 309 bis cpc ( ordinanza 2709/2011). In questa ordinanza la Corte dice che il giudice ha errato nell’applicare i coefficienti del 1922. Il modo di decidere in camera di consiglio è una spia di allarme che la Corte lancia facendoci sapere che da ora in poi questo è il principio da applicare e che si regolerà in questo modo. Applicare i coefficienti del 1922 per danni patrimoniali vuol dire far ottenere al danneggiato un risarcimento dimezzato rispetto a quello che gli sarebbe spettato. Fin qua abbiamo supposto che la vittima un reddito lo avesse. Ma in caso contrario? Il metodo della liquidazione del danno in concreto va applicato anche in caso di vittima non percettore di reddito ove prenderemo a riferimento valori fittizi o figurativi. Pensiamo al pensionato, disoccupato, studente, casalinga. Il pensionato può avere un danno patrimoniale da attività lavorativa a condizione che dimostri che se non avesse ottenuto un danno avrebbe intrapreso una attività lavorativa. Per il disoccupato si dovrà far un calcolo sulla prevedibilità del lavoro che andrebbe a fare ( ad esempio un laureato in medicina che ha fatto la specializzazione è presumibile che avrebbe fatto il medico). Per lo studente il caso è più difficile ( come ad esempio al danno causato al minore). In questo caso MAI apporre come calcolo quello relativo alla professione del padre perchè non è una presunzione semplice ma una illazione. Questo principio la corte di cassazione lo applica solo in bona partem non in mala partem. Cioè la Cassazione lo consente quando il padre ha un lavoro elevato mentre se il padre è un poveraccio questo criterio non viene applicato perchè è dscriminatorio rietenere che un ragazzo figlio di gente povera sarebbe stato povero anche lui da grande. Il problema della casalinga è stato affrontato nel 1996 dalla Cassazione per la prima volta. La corte, in tale pronuncia, fa una distinzione tra diritti costituzionalmente garantiti il cui danno è in re ipsa e diritti ordinari ove bisogna dimostrare la perdita patrimoniale o di altro tipo subita a seguito della lesione del diritto. Nel 2003 e nel 2008 la Cassazione abbandona questo criterio e ricostruisce il sistema della responsabilità civile affermando che la lesione del diritto è il presupposto del risarcimento del danno ma non si identifica con esso ed inoltre facendo presente che è sempre necessaria la prova dei danni subiti. Il lavoro domestico è stato considerato un lavoro che ha pari dignità come tutti gli altri lavori. La perduta possibilità di svolgere il lavoro domestico è danno da risarcire da lucro cessante. Alcune sentenze hanno ritenuto però che il danno della casalinga non è un danno da lucro cessante perchè la casalinga non era retribuita da nessuno e quindi non si può parlare di lucro cessante. Questo danno è da considerarsi come danno emergente pari al costo che bisogna sostenere per compiere quelle attività che prima la casalinga svolgeva da sè. Nel caso di perdita totale il danno sarà pari alla capitalizzazione del costo relativo ad una collaboratrice domestica. Se la capacità l’infortunata l’ha persa in parte si applica l’art. 2056 e si porrà a base del calcolo quella aliquota necessaria di stipendio per procacciarsi quelle utilità che la vittima non può più svolgere. Nel caso di danno da morte il danno patrimoniale si potrà presumere dal grado di parentela e dalla convivenza: questa però è una presunzione iuris tantum, una presunzione semplice e controparte potrà dimostrare il contrario. Nel caso invece in cui non vi sia la convivenza sarà l’attore a dover dimostrare il danno. Dm ( danno da morte) = ( Rv ( rendita vittima) – q ( quota sibi) ) x & ( capitalizzazione) Quota sibi = quota vittima che questa destinava a bisogni personali. La quota sibi dipende dal reddito della vittima e dal nucleo familiare. Alle volte viene calcolata in 1/3 ma comunque va accertato caso per caso e calcolarla in maniera fissa è errato. E’ interesse del legale dell’attore allegare e provare che la quota sibi era modesta, mentre per il convenuto l’interesse sarà il contrario. Come prova bastano le presunzioni semplici. Nel caso di convivenza more uxorio la prova regina è la durata della convivenza. Lo sposino che perde la moglie la prima notte di nozze gli liquidiamo la somma X. Per il convivente che dopo la prima notte di convivenza gli muore la compagna non otterrà il risarcimento. Analizzando il coefficiente di capitalizzazione dobbiamo distinguere due ipotesi: la perdita con carattere vitalizio ( il coefficiente sarà quello alla rendita di vitalizia: muore una moglie 30 enne con marito 40 enne. Scegliamo il coefficiente relativo all’età di 40. L’anziana madre 80 enne matenuta dal figlio, il figlio muore , il coefficiente sarà quello di 80). Il danno da morte comporta a volte anche il danno da lesione di aspettative ereditarie. L’individuo che ha un guadagno superiore alla soglia di sopravvivenza è presumibile che risparmi in proporzione delle sue entrate. Questi risparmi negli anni formano un capitale che andrebbe poi in eredità. Un danno da morte interrompe questo processo causando un danno patrimoniale. Questa prova può essere allegata depositando estratti conto , titoli , investimenti ecc. Questo danno si calcola su coefficiente vitalizia diviso per il numero degli eredi. Danno da mora . L’autore del fatto illecito è in mora dal momento della causazione del danno ex art. 1219 c.c. Sul punto è intervenuta la Cassazione Sez. Unite con sentenza del 17/02/95 n. 1712 , sentenza importantissima e su cui la Corte non si è mai discostata. La sentenza statuisce che alle obbligazioni di valore non si applicano le norme ex. 1224 e 1283 c.c.. Inoltre si fa riferimento al fatto che il ritardato adempimento di una obbligazione valore costituisce un ulteriore danno da lucro cessante alla vittima in quanto il denaro che ill debitore danneggiante deve se lo avesse pagato subito avrebbe potuto, da parte della vittima, essere investito. La Corte inoltre sottolinea come la liquidazione di tale danno possa essere effettuato con la corresponsione degli interessi compensativi che di interessi non hanno che il nome. Gli interessi compensativi sono solo un modo di calcolo del danno da mora ma non sono veri e propri interessi. Il danno da mora scaturente da obbligazione di valore è una componente del danno e non c’è bisogno che venga formulata una domanda ad hoc da aprte dell’attore. Questi interessi da soli però non risarciscono interamente il pregiudizio subito dal danneggiato. L’aestimatio del danno dovrà ricomprendere la rivalutazione ( taxatio). Il credito si rivaluta moltiplicando il capitale per i coefficienti di rivalutazione. Coefficienti di rivalutazione ve ne sono diversi ma per una consuentudine l’indice usato è il FOI ( Famiglie Operai Impiegati). L’aestimatio inoltre dovrà ricomprendere gli interessi. La misura degli interessi è pari ad una misura % che il giudice dovrà valutare valutando il caso concreto e considerando l’entità del credito risarcitorio ( più alto è il credito più alto deve essere il saggio di interesse in quanto ovviamente se ottengo 500 euro l’investimento sarà diverso rispetto all’ipotesi in cui ottenga 500.000 euro). Inoltre il giudice dovrà valutare se il danneggiato è un risparmiatore/investitore in quanto in base a questa circostanza si può presumere che se Tizio è un investitore avrebbe investito altresì la somma risarcitoria. Se io attore nulla invoco in merito non otterrò più che il saggio di interessi legali. Quindi sarà l’attore dovrà provare , su crediti rilevanti, che quella somma sarebbe stata investita producendo estratti conto. Dal fatto noto che Tizio investiva tutti i suoi risparmi in fondi con x% di interessi si presume che avrebbe fatto lo stesso,secondo l’id quod plerumque accidit, anche per la somma risarcitoria e quindi andranno chiesti interessi x%. La Cass con sentenza 19499/07 stauisce che il maggior danno si presume esistente in tutti i casi in cui durante la mora il saggio dei bot è stato superiore al tasso di interesse legali: in questi casi il giudice può presumere ed applicare interessi maggiori. Gli interessi non vanno calcolati sul capitale in quanto ci guadagnerebbe il debitore nè sulla somma rivalutata in quanto ci guadagnerebbe il creditore. Gli interessi vanno applicati sulla somma originaria rivalutata anno per anno. Formula per il risarcimento del danno relativamente all’applicazione di interessi. BC= So + Sr /2 So= somma originaria Sr= Somma rivalutata E’ errata la formula “oltre interessi e rivalutazione dal dì del danno a giorno del soddisfo come per legge”. In primis gli interessi e rivalutazione non si computano. Secondariamente non vi è nessuna legge che lo impone. Terzo dal dì del dovuto al soddisfo. Nel momento in cui il giudice emette la sentenza con la liquidazione del danno trasforma l’obbligazione da valore in valuta e da quel momento in poi decorrono interessi nella misura legale ex 1224 c.c.. Quindi la formula corretta chiedo la condanna di Tizio a X nonchè il danno da mora nella misura di X% dal giorno del fatto illecito alla sentenza oltre gli interessi da quest’ultima alla liquidazione effettiva. Il risarcimento inizialmente è una obbligazione di valore in quanto la somma non è determinata mentre una volta quantifica la cifra da risarcire da parte del giudice l’obbligazione si trasforma in valuta e SOLO da quel momento in poi si applicano gli interessi legali mentre prima potranno essere applicati interessi diversi secondo quanto sopra detto relativamente al c.d. danno da mora. IL DANNO NON PATRIMONIALE La prima questione su cui ancora oggi vi è confusione è se il danno non patrimoniale sia un unicum oppure si divida in diverse sottocategorie di danni a loro volta individuabili. Il danno alla salute è la compromissione della integrità psico fisica dell’individuo suscettibile di accertamento medico legale scaturente da fatto illecito provocato da terzi. Nel nostro ordinamento parrebbe che non vi sia una definizione di danno alla salute al di fuori dei casi di sinistro stradale e infortuni sul lavoro. La Cass. con sent. 357/93 fa riferimento ad una definizione di danno biologico oggi trasfusa nell’art. 138 codice delle assicurazioni. Vi sono 5 componenti indefettibili del danno alla salute. Base medico legale Natura disfunzionale Aredditualità Omnicomprensività Intangibilità La legge ci dice che il danno biologico è quello suscettibile di accertamento di medico legale. Da ciò si desume che per aversi danno biologico vi deve essere una malattia nel corpo della vittima. Danno biologico è la diminuzione della qualità della vita causata dal fatto illecito di terzi. Il fatto che il danno biologico sia quello suscettivile di accertamento medico legale non presuppone che sia sempre necessaria una perizia medico legale per la prova dello stesso anche se nella maggior parte dei casi si dovrà richiedere una consulenza tecnica. Il medico legale dovrà accertare il nesso di causa tra il fatto illecito e le lesioni e tra le lesioni e i postumi da valutare in maniera percentuale. Il consulente tecnico per rispondere a tali quesiti utilizzando le prove legittimamente acquisite nel procedimento. Se non lo fa e utilizza prove illegittime e/o non acquisite nel procedimento la perizia è affetta da nullità. Se poi questa perizia viene recepita dal giudice in sentenza anche questa sarà da considerarsi nulla. L’art. 194 c.p.c. stabilisce che il CTU può acquisire informazioni dalle parti ma questo non vuol dire che questi può introdurre fatti nuovi non introdotti dall’attore. Se ad esempio l’attore chiede semplicemente il danno biologico delle vittima, potrebbe il CTU ad esempio indagare e relazionare in ordine ad un eventuale danno subito dalla vittima in quanto in precedenza svolgeva una determinata attività sportiva oggi non più praticabile dallo stesso? La risposta non può che essere negativa in quanto in tal modo il CTU introdurrebbe un elemento che avrebbe dovuto introdurre l’attore e su cui questi è oramai decaduto. Il CTU può acquisire dai terzi solo elementi riguardanti fatti secondari ma non primari che puòl acquisire solo dalle prove regolarmente acquisite in giudizio. Il CTU deve poi fare la valutazione della lesione permanente della vittima. Il CTU dovrà fare riferimento alle tabelle esistenti. Quando i postumi sono entro il 9% di postumi la tabella è quella obbligatoria approvata per legge: se non lo facesse la valutazione e la conseguente sentenza sarebbe viziata per violazioen di legge. Questa tabella esiste però solo per le micropermanenti derivanti da RCA e da colpa medica. Se il danno è superiore al 9% non vi sono norme di legge di approvazione delle Tabelle. Questo provoca iniquità in quanto il CTU decide di applicare una tabella anzichè un’altra la quale può provedere percentuali diverse per lo stesso danno. E’ onere delle parti chiedere al giudice che il CTU illustri secondo quale tabella è arrivato a quantificare il danno o imponga persino a quale tabella si dovrà fare riferimento. Il CTU deve indicare il criterio adottato per la quantificazione del danno. Della CTU devo controllare l’anamnesi e cioè vedere il il CTU ha preso in esame tutti i fatti del processo e se ne ha preso esame se li ha esattamente valutati. Secondariamente dovrò ricercare nella CTU l’esame obiettivo e cioè la descrizione in corpore delle condizioni della vittima. Non è esame obiettivo quello in cui il medico legale si limitasse a chiedere al paziente e riportasse quello detto da costui senza effettivamente visitarlo. Le dichiarazioni delle parti contra sè fanno prova ex art. 2733 c.c. quali confessioni ma quelle rese a suo favore non fanno prova. Quindi se in sede di CTU il paziente dice “prima mi faceva male oggi non più” questa è uan dichiarazione contra se e pertanto vale come confessione e fa piena prova. Altre dichiarazioni invece non potranno essere poste a fondamento della CTU. Altro elemento che devo valutare nella CTU sono conclusioni. In merito alla natura disfunzionale del danno biologico Frattura menisco = Lesione Anchilosi Impossibilità a salire le scale = natura dsifunzionale Per stimare la natura disfunzionale del danno non si deve valutare la gravità della lesione nè la menomazione ma le perdite subite dalla vittima. L’atto di citazione che conclude dicendo ” si chiede la condanna del convenuto di tutti i danni patiti e patiendi” è pacificamente un atto nullo in quanto non specifica quali siano i danni, la loro quantificazione ecc. Il danno va provato si in corso di causa ma devo comunque allegarlo nella citazione. Sarà altresì non fatto bene la citazione in cui si chiede la condanna ad X postumi oppure ad una determinata cifra risarcitoria senza che sia indicata la descrizione delle conseguenze della lesione e cioè la disfunzione che la lesione ha provocato. La Cassazione con sentenza 761/2001 ha affermato che il convenuto ha si l’onere di contestare i fatti ma ancor prima l’attore deve allegarli. Se con la citazione non si mette in grado controparte di difendersi, si viola il diritto di difesa e quindi l’atto è nullo. Altra caratteristica del danno biologico è la aredittualità. Nel calcolo del danno biologico non rileva la condizione economica della vittima. Il criterio del triplo della pensione sociale dal 1995 è scomparsa dalla giurisprudenza in quanto comunque è un reddito che non può essere preso in considerazione per calcolare il danno biologico. Altro elemento del danno biologico è l’omnicomprensività. Andranno considerati tutti gli aspetti, nessuno escluso, che tale danno ha provocato nella vittima. Necessario in questo caso è che venga fatta una compiuta istruttoria. Nella liquidazione del danno alla salute deve garantire la uniformità liquidativa di base ma deve valutare la diversità delle persone e le conseguenze diverse che il danno può aver provocato in soggetti diversi: c.d. personalizzazione del danno. Le circostanze che riguardano la personalizzazione del risarcimento l’attore le deve allegare nella propria citazione. Il vero problema posto dalla omnicomprensività è : se il danno biologico comprende tutto che fine fa il danno morale? Questa è la grande irrisolta della giurisprudenza dei nostri tempi. L’espressione danno morale non la troviamo nel codice ma è una nozione nata dalla dottrina. La dottrina ha introdotto una tesi secondo cui l’art. 2059 c.c. quando dice che i danni non patrimoniali sono quelli previsti dalla legge fa riferimento non a tutti i danni non patrimoniale ma solo ai danni morali intesa come mera sofferenza patita dalla vittima.Se sposiamo questa tesi di fatto abroghiamo l’art. 2059 c.c. Questa tesi per chi la applicava portava alla duplicazione dei risarcimenti per la stessa cosa nonchè un argine rotto per tutte le questioni bagatellari ( mi hanno installato male l’antenna e non ho potuto vedere la partita ecc.). La Cassa con Sez. Unite 26972/08 ha chiarito il concetto di danno non patrimoniale annoverandola come unica categoria. Nel caso vi sia una lesione di diritti della persona costituzionalmente garantito i danni non patrimoniali spettanto sempre, via sia reato o meno. A seguito di tale sentenza che ha statuito quanto sopra non servono più le diciture danno da vita di relazione, esistenziale ecc. che erano solo mezzi per aggirare l’interpretazione restrittiva della norma. Costituisce perciò duplicazione di risarcimento la congiunta liquidazione di danno biologico e danno morale. Questo non vuol dire che il danno morale non vada risarcito ma che esso non è un danno a sè stante ma fa parte del danno bioligico. Si tenga presente che i disagi non sono risarcibili e quindi non tutto ciò che rientra nel dettame costutizionale è risarcibile perchè sono necessari due presupposti: la gravita e non futilià. Quindi ad esempio non sarà risarcibile il danno non patrimoniale di chi sostiene che poichè non gli è stata riparata la moto non ha potuto portare in giro la propria ragazza. I fattori di personalizzazione devono essere speciali , costanti e non comuni. Il danno deve essere liquidato per quello che è e non per quello che la vittima credeva che fosse in quanto in quest’ultimo caso si avrebbe una differenziazione del danno per soggetti diversi. Una signora ha subito una lieve cicatrice al sopracciglio non visibile in quanto coperta dalle sopracciglia. La stessa però a seguito di tale danno, secondo la sua personalità, sente questo danno in maniera esagerata. In questo caso il danno causato sarà anche di natura psichica la cui caratteristica è la multifattorialità. Secondo gli psicologi non vi è mai un causa sola per il danno psicologico e il fatto illecito è una motivazione che fa scaturire una problematica già latente dentro la persona. A livello teorico quindi se la cicatrice mi ha provocato un danno psichico questo rientra nel danno biologico il cui problema sta solo nell’accertamento. La vergogna per la lesione subita non rientra nel danno biologico. iasp.com è un sito dove si possono trovare delucidazioni sui vari tipi di danni. Esistono due tipi di danni da dolore: il danno da dolore fisico ed il danno che deriva dal contesto sociale. Alcune voci tabellari ricomprendono il dolore: lombosciataliga, cefalea ecc. In questi casi la lesione provoca dolore non menomazione funzionale dell’arto. Se io poi oltre al dolore provo vergogna perchè ad esempio una lesione mi ha sfigurato il volta in questo caso il danno andrà sicuramente personalizzato. Talvolta il dolore, quello fisico, è ricompreso nella invalidità altre volte il dolore, diverso da quello fisico, non è ricompreso. Al cospetto di una lesione della salute a volte sarà necessario aggiungere qualcosa come personalizzazione altre volte no. Vi possono essere danni non patrimoniali anche senza danno biologico. Ad esempio il truffato non ha un danno biologico ma avrà sicuramente un danno non patrimoniale derivante dal reato. Altra caratteristica del danno biologico è l’intangibilità e ciò vuol dire che il risarcimento non può essere intaccato dall’intervento della assicurazione sociale. L’assicurazione sociale si surroga ex art. 1916 c.c. nei confronti del responsabile. Se la vittima ha già preso soldi dall’Inail il suo credito risarcitorio si riduce. Ma se la vittima ha preso denaro da altre assicurazioni sociali Inps ecc avrà diritto all’integrale risarcimento del danno biologico in quanto solo l’Inail risarcise la voce di danno biologico. In caso di concorso di colpa la detrazione va fatta sulla somma civilistica dovuta dal responsabile. Quindi dovrò prima vedere a quanto ammonta il danno civilistico, successivamente dovrò decurtarci la percentuale di concorso e poi vedere se la somma restante è pari, inferiore ecc. a quella corrisposta dall’Inail. Ovviamente quando interviene l’Inail si dovrà tenere conto del danno differenziale che andrà calcolato con il c.d ” scomputo per poste”.

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