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Violenza sessuale e testimonianza incerta.

 

Và assolto l’imputato del reato di violenza sessuale in danno di soggetto infrasedicenne viste le varie incertezze sul fatto emerse dalla testimonianza della persona offesa . Infatti dall’escussione del teste – persone offesa – era emerso che i fatti di cui al capo di imputazione potessero essere stato il frutto d’una percezione falsata circa il reale svolgimento dell’accaduto causati da un errato autoconvincimento della vittima per via d’un assolutamente inconsapevole travisamento di fatti realmente avvenuti. E ciò  nonostante alla vittima sia stata riconosciuta la buona fede nella sua deposizione e non certamente un intento volto a calunniare l’imputato. Così il Tribunale di Matera  – con sentenza depositata il 4 gennaio scorso  – ha assolto con questa motivazione un insegnante di musica dall’accusa di violenza sessuale per aver costretto un’allieva a subire, durante una lezione di pianoforte tenutasi presso la sacrestia di una chiesa, subdoli e fugati palpamenti al seno. Ad avviso del Collegio – nella specie – la piccola vittima, anche perché invaghita del docente, aveva equivocato  un movimento innocente ed accidentale, giudicando come carico di valenza sessuale quello che in realtà altro non era stato se non un fortuito toccamento, causato dalla vicinanza dei due soggetti . Sarebbe stata la successiva elaborazione dei fatti  a portare poi la vittima – col passare del tempo ed in mancanza d’occasioni di riflessioni opposte e contrarie, volte in positivo – a convincersi sempre più dell’originaria e distorta interpretazione di quanto accaduto  circa il presunto facere dell’imputato.

La sentenza in commento è degna di nota in merito alla valutazione della deposizione della persona offesa che sia anche unica teste diretta dei fatti . I criteri che presiedono alla valutazione della deposizione della persona offesa vengono in rilievo nei casi  in cui è  difficile ottenere nel processo testimonianze dirette, diverse da quella della persona che le violenze ha patito, per fatti svolti al di fuori della presenza d’altri. In tali casi  l’accertamento del reato non può che procedere attraverso la valutazione della testimonianza della persona offesa, magari comparandola con quella dell’imputato, ove questi intenda fornire il proprio contributo conoscitivo. E’ costante in giurisprudenza l’affermazione secondo cui il giudice può attingere la verità anche dalle sole dichiarazioni del soggetto passivo il quale, per legge, riveste anche la qualità di testimone; tuttavia, trattandosi di soggetto portatore d’interesse antagonista rispetto a quello dell’imputato, tale deposizione merita piena affidabilità ove sia sottoposta ad indagine positiva, rigorosa e penetrante, circa l’attendibilità delle sue proposizioni accusatorie. Ciò comporta che, in concreto, la testimonianza della persona offesa  deve essere valutata con ogni più opportuna cautela, sia sotto il profilo intrinseco della costanza, della linearità e della coerenza logica, sia sotto quello estrinseco della comparazione della stessa con qualsiasi dato di riscontro che possa concorrere ad assicurare il controllo dell’attendibilità della testimonianza, confermandone indirettamente il contenuto. E tanto più “autosufficiente” è la deposizione della persona offesa quanto più il controllo sulla credibilità intrinseca dia esito positivo, da ciò conseguendo, al contrario, che la dichiarazione della persona offesa non richiede riscontri esterni solo laddove non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità, perché in caso contrario solo pregnanti ed univoci ulteriori elementi di prova confermativi della prospettazione accusatoria consentono di ritenere provato il fatto oggetto di imputazione. Ciò comporta che quando l’istruttoria processuale difetta di dati probatoriamente forti, e si fonda essenzialmente sulle testimonianze per così dire “anomale” delle persone offese, il giudice è tenuto ad utilizzare criteri di valutazione molto più rigorosi e puntuali, controllando e vagliando la credibilità soggettiva dell’accusatore e la coerenza del suo racconto, verificando la plausibilità e la realizzabilità dei fatti storici sì come riferiti, senza prescindere da un’analisi critica circa il riferito movente, ovvero in ordine ai tempi in cui le denunce prima, e le dichiarazioni poi, sono state eventualmente rese. Soprattutto, in caso di abusi a sfondo sessuale si può verificare che la vittima gradui le proprie accuse, per il fatto che insorge una naturale difficoltà ad esporre vicende personali magari particolarmente intime e delicate se non addirittura devastanti sotto il profilo psico-fisico. Ma non si può negare come, in presenza di simili evenienze, abbia a sorgere forte il sospetto di contaminazioni, che minano la bontà e l’aderenza al dato storico delle dichiarazioni stesse, che dunque vanno indagate ancor più attentamente e meticolosamente. Particolare ed ulteriore cura deve essere dal giudicante ancor più attuata nel caso in cui la violenza sessuale o gli abusi  abbiano avuto come soggetto passivo persona minorenne e, per le riferite particolari circostanze che caratterizzano la commissione del fatto, le dichiarazioni accusatorie della vittima siano l’unico apporto probatorio: in tal caso – rammenta opportunamente il primo giudice – la valutazione d’attendibilità è affidata al vaglio positivo dell’attitudine psicofisica del minore stesso ad esporre le vicende in maniera utile e corretta e della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni che va narrando. Il decidente deve perciò accertare la capacità del minore di recepire le informazioni e raccordarle con altre, nonché esprimerle e contestualizzarle in maniera complessa proporzionalmente all’età, alle condizioni emozionali, alla qualità e natura dei vincoli familiari ed esaminare il modo con cui la giovane vittima ha vissuto e rielaborato l’accaduto, per selezionare sincerità, travisamento e menzogna .

 

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