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UNIONI CIVILI: CERCHIAMO DI CAPIRNE DI PIU’

Mercoledì 11 maggio e’ stato approvato, alla Camera dei Deputati, il disegno di legge sulle unioni civili.
Il testo è legge e istituisce per la prima volta in Italia l’unione civile tra persone dello stesso sesso, oltre a regolare le convivenze di fatto che possono riguardare tanto coppie eterosessuali quanto coppie omosessuali.
Le unioni civili tra persone dello stesso sesso.
Ai sensi della norma approvata mercoledì 11 maggio 2016, l’unione civile tra persone dello stesso sesso – che viene valutata come “formazione sociale” ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione – è costituita da due persone maggiorenni dello stesso sesso, mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni. Il regime patrimoniale ordinario dell’unione civile omosessuale sarà quello della comunione dei beni (art. 159 c.c.), fatta salva la possibilità che le parti stipulino una convenzione patrimoniale diversa. Resta ferma, quindi, la possibilità di optare per la separazione dei beni.
Ampio margine e’ stato dato, quindi, all’avvocatura che avrà il compito, svolgendo un ruolo pubblicistico, di redigere queste convenzioni in vista dell’ufficializzazione dell’unione civile.
Sono disciplinati dalla legge i diritti e doveri derivanti dall’unione civile omosessuale, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 143 del codice civile sul matrimonio.
Fa eccezione l’obbligo di fedeltà che non e’ stato previsto per le coppie dello stesso sesso.
Non si capisce la logica di tale eliminazione se non nel fatto che gia’ da tempo la giurisprudenza, sul tema, si era pronunciata ritenendo la violazione non dirimente ai fini dell’addebito della separazione ma sta di fatto che tale previsione non e’ stata inserita nella disciplina delle unioni civili.
Oltre all’applicazione della disciplina sugli obblighi alimentari prevista dal codice civile, la costituzione dell’unione comporta che le parti acquistino gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri, in particolare, per quanto riguarda il dovere reciproco all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione nonché al contributo ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, come accade nel matrimonio. Allo stesso modo, è previsto che l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti. Viene, inoltre, estesa alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la disciplina del cd. ordine di protezione da parte del giudice, in caso di grave pregiudizio per l’integrità fisica o morale di una delle parti.
In caso di morte, andranno corrisposte al partner sia l’indennità dovuta dal datore di lavoro (ex art. 2118 c.c.) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex art. 2120 c.c.).
In relazione alla successione, si applica ai partner dell’unione civile parte della disciplina contenuta nel libro secondo del codice civile, comprese quelle relative ai diritti dei legittimari. In pratica, le parti hanno diritto all’eredità.
Si tratta, pertanto, di un riconoscimento a tutto tondo alle coppie dello stesso sesso ed un gran passo in avanti sia sul piano giuridico che di civilta’ del nostro ordinamento che , c’e’ da dire, arriva lento alla risoluzione di problemi che sono sotto gli occhi di tutti.
A parte le disposizioni del codice civile non richiamate espressamente e di quelle della legge sull’adozione, le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicheranno anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso.
Questo per quanto riguarda la nascita dell’ufficializzazione del rapporto che quindi vedrà’ necessario solo il compito di redigere un accordo a sostegno dell’unione.
Se tutto andrà’ per il meglio non ci saranno altre questioni da affrontare.
Ma nel caso di crisi di coppia come ci si comporterà’?
Quanto allo scioglimento dell’unione civile, viene ripresa gran parte della normativa relativa alle cause di divorzio, sia in relazione alle cause di scioglimento che per quel che riguarda le conseguenze patrimoniali.
Pertanto le discipline ad oggi vigenti sono applicabili alle stesse unioni civili : ci si riferisce alla negoziazione assistita, procedura semplificata davanti al sindaco quale ufficiale di stato civile.
Viene poi in attuazione a quanto indicato dalla Corte Costituzionale con riguardo alla rettificazione del sesso di uno dei coniugi: se, infatti, dopo la rettificazione di sesso, i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, questo si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.
Le convivenze di fatto. In base alla legge, la convivenza di fatto riguarda sia le coppie eterosessuali che coppie omosessuali. Sono considerati conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale e coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.
Rispetto alle unioni civili i conviventi hanno sicuramente meno diritti e tutele.
E’ un tema, quello della convivenza, gia’ piu’ volte posto all’attenzione del legislatore ma che fa fatica ad emergere legislativamente parlando.
Sino ad oggi il convivente non aveva alcuna tutela ne’ diritto e spesso capitava che dopo lunghe convivenze, in caso di rottura del rapporto, una delle parti ( quasi sempre la donna) rimanesse senza nulla.
La fiducia, spesso data nel corso dell’inizio della convivenza, tradita successivamente, lasciava il convivente con un pugno di mosche.
Oggi qualcosa di piu’ si e’ previsto.
Infatti i conviventi di fatto avranno alcune prerogative normalmente spettanti ai coniugi quali il diritto di visita previsti dall’ordinamento penitenziario, il diritto di visita e di accesso ai dati personali in ambito sanitario, questione che fino ad oggi aveva dato il via a grandi polemiche; la facoltà di designare il partner come rappresentante per l’assunzione di decisioni in materia di salute e per le scelte sulla donazione di organi; di diritti inerenti la casa di abitazione; di facoltà riconosciute in materia di interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno; del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito.
Anche per le convivenze si e’ prevista la possibilità’ di stipulare un contratto di convivenza, attraverso il quale disciplinare i loro rapporti patrimoniali.
Anche qui l’avvocatura avra’ un ruolo determinante non essendo consigliabile il Fai da Te contrattuale che spesso si rinviene nei vari settori di interesse giuridico.
Disciplinare in maniera errata una materia cosi’ delicata e che piu’ delle altre tocca nel vivo le persone interessate puo’ portare a conseguenze disastrose in caso di rottura del rapporto.
La legge specifica i possibili contenuti del contratto, con il quale i conviventi possono fissare la comune residenza, indicare le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni, cui si applicano le regole del codice civile.
Ma come si puo’ sciogliere il contratto di convivenza?
Prima di tutto il contratto si risolve automaticamente in caso di morte.
Oltre a questo estremo accadimento puo’ prevedersi il recesso unilaterale o su accordo tra le parti. Tale modalità’ di recesso dovrà’ essere attentamente disciplinata e non confezionata con formule di stile che poco si attagliano al caso di specie. E’ necessaria una valutazione del rapporto, delle esigenze della convivenza per attualizzare la clausola di recesso al caso concreto: in nessun caso si pu’ procedere a caso o con formule di stile.
Il contratto poi si può’ risolvere in caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un terzo.
Importantissima e’ la previsione secondo la quale alla cessazione della convivenza di fatto potrà conseguire il diritto agli alimenti in capo ad uno dei due partner. Tale diritto deve però essere affermato da un giudice, ove il convivente versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (ex art. 438 c.c.).
Qui nasceranno i vari problemi interpretativi in quanto lo stato di bisogno non sara’ sempre facile da dimostrare cosi’ come il fatto di non poter provvedere al proprio mantenimento.
In caso ad esempio di una persona convivente titolare di una ditta che pero’ versa in cattive acque pur essendo la stessa in difficolta’ si dovra’ dimostrare lo stato di bisogno ma anche che la stessa non possa provvedere al proprio mantenimento, circostanza non facile nel caso in esame.
Spetta allo stesso giudice, poi, determinare la misura degli alimenti (quella prevista dal codice civile) nonché la durata dell’obbligo alimentare in proporzione alla durata della convivenza.
Qui vi e’ una differenza rispetto al matrimonio in quanto si prevede un obbligo alimentare specifico in misura del tempo della convivenza, norma che di per se’ pare comunque giusta anche se poi andranno determinati i criteri su cui uniformarsi non potendo lasciare tale importante decisione completamente alla discrezionalità’ del giudice in quanto si arriverebbe sicuramente a decisioni differenti in casi analoghi secondo l’interpretazione del giudice a cui la causa sara’ affidata.
Direte che questo e’ gia’ cio’ che accade nel nostro ordinamento nella maggior parte dei casi ma, un paese che si dica civile, deve tendere quantomeno ad una idea di certezza del diritto…traguardo che l’Italia e’ ancora ben lontana dal raggiungere.

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